10 ottobre 2013


Cari lettori, concludiamo il nostro ciclo di post sulla conferenza LibrInnovando ricerca 2013, con il prezioso intervento di Mauro Guerrini, Professore Ordinario di Biblioteconomia e coordinatore del Master di II livello in Archivistica, Biblioteconomia e Codicologia presso l'Università degli Studi di Firenze.



Intervento di Mauro Guerrini:

Guardando un incunabolo, ci balza subito all'occhio una cosa particolare: un buchino bianco in testa alla colonna. Ciò deriva dal fatto che un incunabolo imita pedissequamente un manoscritto mentre il manoscritto imita le scritture miniate. All’inizio della stampa si copia il modello precedente e si lascia uno spazio bianco per permettere al miniatore di introdurre la lettera miniata. In alcuni incunaboli, quindi, vediamo lo spazio bianco perché non c’è stato modo di completare la mise en page.
Nel corso della storia, i supporti utilizzati per la scrittura e la lettura hanno subito tantissime modifiche e innovazioni. Il libro, come spiega anche Lucien Febvre, per le sue eccezionali caratteristiche, verrà utilizzato in maniera indiscussa per circa 500 anni, continuando a vivere benissimo ancora oggi. Ma anch'esso, pur rivelandosi vincitore assoluto su tutti i supporti precedenti, presenta abbastanza presto una limitazione. Nella metà del '600 nascono i primi periodici, molto più immediati del libro, il quale, non ha quella flessibilità necessaria alla continua pubblicazione di articoli. In realtà, anche il periodico ormai è diventato poco efficiente alla pubblicazione degli articoli perché, mentre con internet, ormai l’articolo può essere pubblicato immediatamente dopo la sua stesura, per il periodico bisogna prima che tutti gli articoli necessari per la pubblicazione arrivino al tipografo e poi che vengano stampati e rilegati insieme. Tutto ciò implica una discreta perdita di tempo ai fini della diffusione dell’informazione.

La rivista J-Lis (di cui il Professor Mauro Guerrini ne è il direttore) esiste sia in formato elettronico che cartaceo. In tal modo, gli articoli vengono stampati e rilegati in una rivista, ma per essere usufruibili non aspettano tale data, bensì vengono di volta in volta pubblicati online man mano che superano la fase della peer-review. Il fascicolo periodico viene stampato due volte l’anno (è una rivista semestrale) e quello è il fascicolo che risente ancora di questa impostazione tradizionale. Tutti i periodici sono accomunati dal concetto di serialità. Tali mutazioni portano ad un vero e proprio cambiamento della lettura come processo mentale e non della lettura come atto in sé. Come dicevano anche Letizia Sechi e Stefano Tura nei precedenti interventi, intanto sembra che si memorizzi molto meno. Basandosi la lettura principalmente sui supporti online, sembra che oggi si memorizzi più facilmente l’indirizzo web (il link). Il cervello tende a memorizzare meno quando può e, quindi, tende a non memorizzare un contenuto che può essere sempre alla portata di mano. E' per questo che si memorizza più il contenitore dell’informazione (URL) che l'informazione stessa.
Altri aspetti da tenere ben presenti e non sottovalutare, sono la lettura come sequenzialità e la necessità di un ambiente tranquillo e silenzioso, privo di distrazioni, quando si legge.
Oggi la lettura avviene quasi sempre in maniera ipertestuale, passando da un link all’altro, ad un filmato, ad un brano sonoro o musicale. Viene, quindi, meno la concentrazione necessaria alla memorizzazione, l’immagazzinamento e la rielaborazione dell’informazione. Si tratta, in pratica, di un navigare che, senza la bussola, può portarci fuori strada. Altra fonte di distrazione sono i suoni di sms, mail, messaggi di whatsapp ecc. che ci arrivano sul tablet o l’iPhone mentre leggiamo un testo, un articolo, un romanzo. Queste attività avvengono in un ambiente “contaminato” che ci obbliga a ricostruirci nostri schemi mentali e a non farci memorizzare ciò che stiamo leggendo. Oggi abbiamo anche un surplus di informazioni che ci obbliga a selezionare ciò che dobbiamo memorizzare. 







Open Access
Cos’è?
Le ricerche che sono state finanziate per oltre il 50% da denaro pubblico, devono essere pubblicate online ad accesso libero e pieno. Ciò significa che se un gruppo di docenti ha ottenuto 100 mila euro in finanziamenti pubblici per una determinata ricerca, i documenti prodotti durante tali ricerche devono essere depositati presso il depository di un’Università (Firenze aprirà a fine ottobre uno spazio apposito) o presso un depository disciplinare perché queste ricerche sono state finanziate da denaro pubblico. Ciò che è pubblico, deve rimanere pubblico. Queste problematiche nate in ambiente universitario e, in particolare ad Harvard, dove il professor Darton, illustre storico di fama mondiale, ha fatto passare una circolare di Ateneo secondo la quale i docenti sono invitati a depositare su un depository universitario le loro pubblicazioni. Tutto ciò implica esso stesso un altro modo di produrre! Finora le ricerche venivano pubblicate su riviste specializzate che implicano tutt’ora dei costi stratosferici (fino a 30 mila euro a rivista). Ad un certo punto i professori di Harvard e poi a ruota molti altri, si sono ribellati a questo sistema che costringeva i ricercatori a pubblicare i loro articoli gratis, per sottostare alla dura regola del "publish or perish", e hanno iniziato a pubblicare su una rivista autonoma online, priva di tali costi stellari. C’è un’altra legge (GREEN ROAD) la quale dice che, trascorso un determinato periodo di tempo (per la legge italiana, fino a 24 mesi), l’articolo pubblicato su una rivista a pagamento può essere messo online gratis e quindi accessibile a tutti.
Se un ricercatore pubblica con i metadati giusti, utili per essere efficacemente catturati dai motori di ricerca, si avrà un vantaggio non solo per il ricercatore che avrà più visibilità, ma anche per l’ente di appartenenza e per l’editore stesso. I veri lettori, generalmente, leggono ovunque (indipendentemente dal tipo di supporto), e spesso, dopo aver letto qualcosa, vogliono conoscere altre opere di quello scrittore o di quell’editore ecc. Si innesta, quindi, un circolo virtuoso.

Se c’è una crisi dell’editoria, ovvero un ripensamento delle basi strategiche degli editori, tanto più c’è un ripensamento sulle basi su cui si fonda la biblioteca. Con il digitale, la biblioteca “tradizionale” rischia di rimanere esclusa perché considerata una struttura superflua. 
Se si trova tutto in internet e le banche dati presentano il Full Text dell’articolo, in biblioteca non ci si va più.
In tutto ciò, non si pensa, però, ad un altro elemento fondamentale, ricordato precedentemente da Stefano Tura: Chi crea le biblioteche digitali? Chi attribuisce la qualità ai testi? Il lavoro del bibliotecario muta e si trasferisce nella preparazione di testi per il grande pubblico. 
La biblioteca, quindi, cambia ruolo, fungendo spesse volte da editore perché ha direttamente un rapporto con gli editori stessi. 



Ne approfitto, inoltre, per segnalarvi questa conferenza, appunto, sull'Open Access!





Mariacristina Maffeo

2 commenti:

  1. Aspettavamo con ansia la fine del report della conferenza.

    Dal mio punto di vista è stata molto divertente, con interventi interessanti. Poteva durare anche altre tre ore magari in una bella tavolata con del buon vino.

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  2. Una tavolata con cibo toscano e ottimo vino sarebbe stata perfetta per parlare dell'open access e del futuro dell'editoria!!!!

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